Contro l’aborto
A 42 anni dall’approvazione della legge 194 è necessario ribadire l’importanza di schierarsi contro l’aborto. Ma a favore del diritto di abortire.
Come può un essere umano arrogarsi il diritto di decidere per la vita di un altro?
Prendiamo l’aborto: esiste forse pratica più aberrante di un omicidio commesso a danno di una vittima tanto innocente? Come possiamo giustificare chi si macchia di un peccato così grave col solo movente di non volersi assumere le proprie responsabilità?
Ecco. Dopo 42 anni dall’approvazione della legge 194 che garantisce la libertà di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza (IVG), in alcune delle principali piazze italiane le donne sono tornate a protestare in strada perché ancora si pretende di decidere per la loro vita. Un omicidio a tutti gli effetti se pensiamo che ogni anno sono circa 10 mila quelle che rischiano di morire in mani incompetenti perché costrette a ricorrere ad aborti clandestini: succede perché più del 70% di medici e sanitari si dichiara obiettore di coscienza e perciò rifiuta la responsabilità di interrompere una gravidanza.
Ostacolare il diritto d’aborto, però, non ostacola l’aborto stesso. Sembra una banalità ma è bene ribadirlo. Allo stesso modo, dovremmo ricordare più spesso che al contrario difendere quel diritto non ha affatto a che vedere con l’essere favorevole alla pratica in sé. Anche quello che state leggendo è un articolo contro l’aborto, ma è a favore del diritto di abortire.
Significa che chi scrive non gioisce di fronte a chi sceglie di interrompere una vita sul nascere, ma riconosce l’esistenza di casi in cui portare avanti quella vita vuol dire mettere a rischio la propria salute, il proprio benessere, la propria serenità psicologica, la propria situazione sociale e/o economica. E come si fa a stabilire a priori quali siano questi casi?
Se si concedesse il diritto d’aborto solo a chi ha subito violenza, ad esempio, come si potrebbero dimostrare i casi di violenza psicologica? Se si permettesse di interrompere la gravidanza solo alle donne economicamente svantaggiate, come si potrebbe mai fissare una soglia oggettiva sotto la quale una famiglia ha il diritto di sentirsi in difficoltà? O ancora, se volessimo contemplare l’IVG solo per le ragazze più giovani, riusciremmo davvero a garantire un’età in cui si diventa abbastanza mature da sentirsi pronte a fare le mamme? Gli esempi potrebbero continuare all’infinito: donne che lavorano e rischiano la carriera, donne emotivamente troppo fragili per affrontare una gravidanza, rapporti troppo instabili per creare una famiglia, soglia del dolore troppo bassa per sopportare nove mesi di mal di schiena e nausea, momento della vita sbagliato, priorità diverse.
La verità è che diventare madri è un fatto così intimo, così privato, che qualunque decisione presa dall’esterno è a tutti gli effetti una violazione. Così quello che può fare lo Stato è garantire sempre e comunque la libertà di decidere in piena autonomia, ma contemporaneamente, può schierarsi contro l’aborto tutelando le donne e creando le condizioni perché l’IVG non sia mai una scelta obbligata.
Basterebbe forse partire dalla scuola, da un’educazione sessuale che non educhi all’astinenza ma alla responsabilità e che guardi alle reali esigenze degli adolescenti, spesso vittime di gravidanze indesiderate perché inconsapevoli dell’importanza della contraccezione o perché – più semplicemente – impossibilitati dal punto di vista economico ad acquistare profilattici.
Ed eccolo il secondo punto chiave probabilmente: il sesso non è un diritto esclusivo dei lavoratori o dei ricchi; lo fanno i ragazzini e pure i disoccupati. Perché allora solo in quattro regioni italiane sono stati avviati finora esperimenti per rendere gratuita la distribuzione di dispositivi di contraccezione? I due discorsi sono fortemente legati perché se non si aiuta una donna a evitare una gravidanza non la si può obbligare a portarla a termine, a meno che non si torni alla concezione medievale del sesso finalizzato esclusivamente alla procreazione.
Chiaramente non bastano educazione e contraccezione in una società dove la povertà è sempre più diffusa e la condizione di molte lavoratrici sempre più precaria, tanto più in caso di gravidanza. Allora bisogna offrire sostegno economico a chi una famiglia vorrebbe crearsela ma non crede di riuscire a mantenerla, e garantire alle donne che lavorano le giuste tutele perché un figlio non sia mai causa di licenziamento o detrazioni dallo stipendio, contingenza che si verifica ancora troppo spesso. È colmando queste lacune che ci si schiera contro l’aborto, non ponendo ostacoli su ostacoli alla libertà di scelta.
Tra le scritte che sono comparse durante le proteste delle donne che in queste settimane sono scese in strada per difendere la legge 194, anche in occasione del nuovo dibattito scoppiato intorno alla pillola Ru486, una appare su tutte quanto mai emblematica: “Ho le braccia affaticate per aver tenuto lo stesso cartellone dal 1978”.
È la sintesi perfetta di un’Italia arretrata, resa schiava da una morale cieca, che tutto tutela tranne la vita che tanto proclama.
Contro l’aborto, mai contro il diritto.
Un incastro di contraddizioni croniche, a partire dal fatto che potrei scrivere di qualunque cosa ma che vado in crisi se si tratta di parlare di me. 30 anni, copywriter, giornalista e marketing manager. Laureata in lingue perché affascinata da tutto quello che non somiglia al posto in cui vivo. Sarà perché vivo in un paese piccolo, dove per i sogni a volte sembra non esserci spazio, allora ogni tanto vorrei infilarli in valigia e portarli con me all’estero. Viaggi brevi però, perché credo anche nelle radici, continua a leggere