Sant’Antonio Abate e il cancro del gioco d’azzardo
I dati ufficiali dell’Agenzia dei Monopoli accendono i riflettori sul rapporto tra Sant’Antonio Abate e il gioco d’azzardo. Ecco quanto giocano gli abatesi in un anno.
“Il lotto è il largo sogno che consola la fantasia napoletana: è l’idea fissa di quei cervelli infuocati; è la grande visione felice che appaga la gente oppressa; è la vasta allucinazione che si prende le anime”.
Così scriveva la scrittrice e giornalista Matilde Serao. Le sue parole, tranquillamente adattabili a qualunque tipo di gioco d’azzardo, ben rappresentano uno tra i tumori più letali in assoluto: il cancro della ludopatia, fenomeno che negli ultimi anni risulta in crescita in tutta la nazione, e che faremmo bene a temere anche a Sant’Antonio Abate.
Lo dimostrano i dati messi a disposizione dall’Agenzia dei Monopoli sulle giocate effettuate in Italia nel 2017, elaborati da un database creato da Visual Lab e dal Gruppo Gedi. Parlano chiaro i numeri: gli abatesi negli ultimi dodici mesi presi in esame hanno speso in giocate 19,47 milioni di euro in tutto. Per un comune di 19.704 abitanti, significa 988 euro pro-capite. Così, su 7100 comuni che contano fino a 50 mila residenti, Sant’Antonio Abate si piazza alla posizione 1789 nella classifica generale sul gioco d’azzardo. Un risultato che fa decisamente impressione.
Sono soprattutto le scommesse sportive a quota fissa ad attrarre gli abatesi stando ai dati: nel 2017 giochi del genere hanno visto bruciare oltre 7 milioni di euro; ma una fetta solo leggermente più piccola è quella che ogni anno tocca alle awp, ovvero gli apparecchi elettronici conosciuti anche come “new slot”, che accettano solo monete e che possono essere installati anche in bar e tabaccherie: nel 2017, moneta dopo moneta, gli abatesi hanno giocato alle macchinette 5,93 milioni di euro a fronte dei 5,85 dell’anno precedente. Fa specie perché l’attrattiva sale nonostante il numero di awp presenti sul territorio si sia ridotto dalle 114 del 2016 alle 94 di dodici mesi dopo. E poi c’è il lotto, la bestia nera di cui parlava Matilde Serao, quella che – oltre alle anime – si è presa pure 2,23 milioni di euro in un anno.
Questi, e tutti gli altri giochi gestiti dallo Stato, hanno impoverito il territorio abatese di quasi 20 milioni di euro solo nel 2017. Ma soprattutto hanno impoverito famiglie, lavoratori, giovani e adulti fagocitati da un sistema spietato che seduce promettendo ricchezza facile e che in realtà finisce per creare forme di dipendenza gravissime e dalle conseguenze letali. Nei casi più gravi, i debiti e i rovesci finanziari causati dal vizio del gioco, portano addirittura a depressione e a tendenze suicide. Un dramma che sempre più italiani stanno conoscendo da vicino e su cui dovremmo forse porci qualche domanda in più: ci preoccupiamo abbastanza di sensibilizzare sui rischi del gioco d’azzardo? Le slot vanno vietate? Andrebbero rilegate lontano dai centri abitati? Che ruolo giocano politica, scuola, famiglia, nella tutela dei più giovani? Se 19 milioni di campanelli d’allarme stanno suonando, siamo o no un paese pronto a riconoscere e ad affrontare il pericolo?
Un incastro di contraddizioni croniche, a partire dal fatto che potrei scrivere di qualunque cosa ma che vado in crisi se si tratta di parlare di me. 30 anni, copywriter, giornalista e marketing manager. Laureata in lingue perché affascinata da tutto quello che non somiglia al posto in cui vivo. Sarà perché vivo in un paese piccolo, dove per i sogni a volte sembra non esserci spazio, allora ogni tanto vorrei infilarli in valigia e portarli con me all’estero. Viaggi brevi però, perché credo anche nelle radici, continua a leggere