21 marzo contro le mafie: un silenzio tutto abatese
Ieri abbiamo preso parte alla marcia regionale di “Libera – associazioni, nomi e numeri contro le mafie”. Oggi vogliamo riflettere su cosa significa nel 2018 scendere in strada a marciare contro la criminalità organizzata.
Conosco un giovane arrivato da lontano su un barcone lurido. Erano in 300, stipati l’uno sull’altro, lì a pregare giorno e notte il loro dio perché non li abbandonasse in balia di quel mare tanto freddo e agitato. Era felice quando ha messo i piedi a terra dopo tanto tempo. Sporco, affamato, infreddolito e con la febbre alta, ma con una vita davanti piena di possibilità e speranza. Poi l’hanno chiuso in un centro d’accoglienza: mangia riso scaduto da giorni, non c’è un solo operatore che conosca la sua lingua, non ha idea di che fine abbiano fatto le persone che ama. Ieri ha tentato il suicidio. Dice che si sente un animale in gabbia.
Conosco un tale che in tempo di elezioni ha chiesto una mano a un consigliere comunale. Era disoccupato. Tre figli a carico, una moglie da tranquillizzare, l’orgoglio sotto le scarpe e la sensazione di impotenza perenne a mettere a dura prova ogni giorno la sua voglia di vivere. Il consigliere – conosciuto da tutti come un uomo assai per bene – si ingegnò per trovargli un lavoro. Quel tale è stato licenziato qualche mese dopo. Aveva ricambiato la generosità con il suo voto. Tra un anno ci sono le elezioni e la storia si ripeterà tutta da capo.
Conosco un pover uomo che ha ricevuto un favore da un amico. Un po’ di denaro, una cifra neanche troppo alta, ma sufficiente a pagare gli arretrati di un affitto improvvisamente lievitato. Il suo lavoro non bastava più, sfruttato com’era per uno stipendio misero, e lasciare il posto dove aveva sempre vissuto no, sarebbe stato un fallimento. “Gli amici – per fortuna – si vedono nel momento del bisogno”. Così pensò quando l’altro si offrì di aiutarlo. Oggi sta ancora pagando gli interessi di quel debito. Da anni non compra un vestito nuovo.
Conosco un bambino che da grande voleva fare il calciatore. Ma per fare il calciatore ci vogliono i polmoni buoni e non ce li ha più nessuno nella terra dei fuochi. I suoi sono stati bruciati dai roghi tossici. È morto di tumore un anno fa ma poco importa: è solo uno dei tanti.
Sono storie di mafia moderna, perché la criminalità ha cambiato volto ma non sostanza: ha creato un business intorno all’accoglienza, ha smesso di fare patti con la politica per diventare la politica stessa, ha imparato a coltivare la povertà e la disperazione altrui per farne una fonte inesauribile di ricchezza, e ha avvelenato la nostra terra, quella che martoriata, riesce ancora a sembrarci bellissima. Ecco perché il primo passo per affrontarla – la mafia – è prendere consapevolezza del fatto che si trasforma. Bisogna essere preparati a riconoscerla e conservare l’integrità morale necessaria a rifiutarla. Ne ho visti 30 mila, ieri, pronti a metterci la faccia per dire basta.
Pioveva. Pochissimi i raggi di sole che squarciando il cielo grigio hanno accompagnato la marcia regionale di “Libera – associazioni, nomi e numeri contro le mafie”. Scuole, collettivi, enti, sindacati e semplici cittadini hanno sfidato la pioggia per unirsi ai familiari delle vittime della criminalità organizzata nella XXIII “Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie”. La marcia è partita da Pompei, in Piazza Immacolata, ed ha solcato le strade come un fiume in piena fino a raggiungere il piazzale di Scafati intitolato ad Aldo Moro. Lì sono stati letti gli oltre 900 nomi che compongono il lungo elenco di quanti hanno perso la vita per mano di organizzazioni mafiose. Simboli della giustizia e della lotta alla malavita come Falcone e Borsellino; giornalisti caduti in nome della libertà di stampa: Peppino Impastato, Giancarlo Siani, Pippo Fava, Ilaria Alpi. Ma anche bambini condannati a non diventare mai grandi. La più piccola delle vittime aveva appena 53 giorni.
Sotto la pioggia, con le spalle coperte da una bandiera colorata, abbiamo voluto esserci anche noi di “Tutta n’ata storia”. Una scelta che abbiamo fatto come associazione, ma anche come giovani e cittadini, perché a vent’anni ci sentiamo in diritto di rivendicare questa terra come casa nostra e in dovere di far sentire la nostra voce a chi continua a violentarla. Quello che ci dispiace, in tutta franchezza, è che da Sant’Antonio Abate siano stati in pochissimi ad avvertire la nostra stessa esigenza. Ci rincuorano le parole con cui la manifestazione si è chiusa: “è il 21 marzo ogni giorno”. Allora semineremo ancora, e aspetteremo altri mille 21 marzo fino a veder germogliare piantine di legalità nonostante la terra poco fertile di memoria.
La mafia uccide, il silenzio pure. Anche a Sant’Antonio Abate.
POTREBBERO INTERESSARTI:
Tutte le foto della marcia regionale
La storia di Michele Cavaliere, assassinato dalla camorra nel 1996
La storia di Simonetta Lamberti, uccisa a Vietri all’età di 11 anni
La storia di Michele Ciarlo, penalista morto per mano del clan Annunziata-Aquino
Un incastro di contraddizioni croniche, a partire dal fatto che potrei scrivere di qualunque cosa ma che vado in crisi se si tratta di parlare di me. 30 anni, copywriter, giornalista e marketing manager. Laureata in lingue perché affascinata da tutto quello che non somiglia al posto in cui vivo. Sarà perché vivo in un paese piccolo, dove per i sogni a volte sembra non esserci spazio, allora ogni tanto vorrei infilarli in valigia e portarli con me all’estero. Viaggi brevi però, perché credo anche nelle radici, continua a leggere