25 aprile: storie di sport e Liberazione
Nel giorno della Festa della Liberazione, vogliamo raccontarvi le storie di partigiani particolari: sportivi che sono scesi in campo in nome di libertà e resistenza.
Un poeta dovrebbe solo fare il poeta o impegnarsi anche politicamente? Uno scienziato dovrebbe pensare esclusivamente alla ricerca o interessarsi pure dei problemi del suo tempo? E uno sportivo dovrebbe dare il massimo unicamente nella sua disciplina o anche nell’attivismo sociale? Tesi e antitesi a tal riguardo si contrappongono da sempre, ma – a proposito di sportivi – vogliamo raccontarvi alcune storie di chi questa domanda non se l’è nemmeno posta, perché durante la Resistenza ha deciso di scendere in campo… e non quello da gioco.
Lo facciamo oggi ed è facile intuirne il motivo: è il 25 aprile, l’anniversario della liberazione dell’Italia dalle forze nazifasciste. Tra chi ha combattuto per rendere questa data un simbolo della nostra storia ci sono stati, appunto, anche uomini appartenenti al mondo dello sport.
Come Alfredo Martini.
Dagli anni ‘70 agli anni ‘90 è stato commissario tecnico della nazionale italiana di ciclismo, ma tra il 1941 e il 1957 è stato anche un corridore professionista. Si è fermato una sola volta nella sua carriera: durante la seconda guerra mondiale.
Martini, infatti, decise di abbandonare le piste per correre altrove. Dove? In soccorso dei partigiani sull’Appennino toscano, ma sempre con la sua bici. “Ho portato carichi di bombe molotov alle formazioni partigiane presenti sul Monte Morello”, ha dichiarato a guerra finita, “e solo ora penso che se fossi caduto sarei saltato in aria”. Non cadde, non saltò in aria e, anzi, poté festeggiare la vittoria. Alfredo Martini se ne è andato solo nel 2014 a 93 anni e ancora oggi è ricordato come il padre-partigiano del ciclismo italiano.
Come Michele Moretti.
Terzino della Comense e del Chiasso, sindacalista e partigiano: questi i ruoli ricoperti in vita. Arrestato dalla polizia fascista, doveva essere deportato in Germania, ma riuscì a fuggire. E dopo? Ha contribuito alla fondazione della 52ª Brigata Garibaldi “Luigi Clerici” di Como.
In battaglia è stato Pietro Gatti e, secondo il partigiano Guglielmo Cantoni, dalla sua mano sono partiti i colpi che hanno ucciso Benito Mussolini. Stando alla versione ufficiale, invece, pare che Moretti avesse solo prestato la sua arma al colonnello Walter Audisio, vero esecutore; ma sicuramente il calciatore è stato parte del gruppo che ha assistito alla morte dell’ex duce.
Pur comunque protagonista di un episodio storico di tale portata, Michele Moretti non ha avuto alcun riconoscimento dopo la guerra, continuando a vivere come operaio e artigiano fino alla morte, sopraggiunta nel 1995. Ma non ambiva di certo alla gloria colui che, più che campione in campo, lo è stato nella storia che conta.
Come Bruno Neri.
Un altro calciatore, ma di ruolo mediano. Nel periodo del cosiddetto ventennio fascista ha militato a lungo nella Fiorentina, per poi giocare anche tra le fila della Lucchese, del Torino e del Faenza, squadra della sua città natale.
Ma Bruno Neri è stato anche “Berni”: questo il nome di battaglia che scelse quando decise di arruolarsi nella Brigata Ravenna, di cui divenne il vicecapo. Il 10 luglio 1944, era in perlustrazione a Marradi, in provincia di Firenze, quando i nazisti lo attaccarono. Non poté nulla e, come tanti altri, il calciatore-partigiano salutò la vita con la parola “libertà” stampata sulle labbra.
D’altronde Bruno Neri aveva già dato dimostrazione di resistenza: il 10 settembre 1931, prima di un’amichevole per l’inaugurazione del nuovo stadio della Fiorentina, fu l’unico a non eseguire il saluto fascista. Quella foto (in copertina) oggi è storia.
Sono stati tanti altri gli sportivi, più o meno conosciuti, che hanno appeso gli attrezzi del mestiere al chiodo per lottare durante la Resistenza. Queste storie ne sono solo alcuni esempi. Esempi di chi ha deciso di schierarsi, di chi ha deciso di agire, di chi ha deciso di vivere e non di assistere alla vita. Esempi di chi – con tremenda semplicità – ha lottato per la libertà. Anche a loro va il nostro grazie in questo 25 aprile. Che questi esempi ci siano d’esempio nella vita quotidiana, perché la storia la viviamo – e la scriviamo – anche noi, giorno dopo giorno.
“Devi cambiare d’animo, non di cielo”: la frase che mi ripeto più spesso quando mi viene voglia di scappare; ma restare mi piace di più. Credo nelle radici anche quando meriterebbero di essere estirpate.
Il mio primo amore è stato – ed è – il calcio. A 14 anni ho iniziato a seguire il Sant’Antonio Abate, prima da appassionata e poi da addetto stampa: Eccellenza, serie D, Eccellenza e continua a leggere