Il cantautore Capo di Buona Speranza: “Il mio viaggio tra la musica, dal premio De André al futuro”
Perché hai scelto proprio questo nome?
Capo di Buona Speranza per me è un luogo fisico, ma anche un posto dell’anima: è dove l’artista si trova prima di iniziare a scrivere. Ho sempre immaginato gli antichi viaggiatori che si trovavano a Capo di Buona Speranza e tentavano di raggiungere le Indie senza alcuna certezza di riuscirci. Quando un musicista inizia a comporre, si trova proprio a Capo di Buona Speranza: davanti al foglio bianco, cerca di afferrare la bellezza e trasformarla in note e parole, senza sapere davvero cosa ne verrà fuori.
La musica è centrale nella tua vita perché, di fatto, è anche il tuo lavoro. Hai un’associazione, “Il trillo parlante”, dove con altri professionisti insegni a bambini e ragazzi a suonare diversi strumenti. Sognavi di fare proprio questo “da grande”?
Non lo so. La vita prende strade che non ci è dato conoscere, e anche a me è capitato di fare i conti con situazioni che non sono sempre dipese dalla mia volontà. Ma fare musica è sempre stato il mio sogno nel cassetto, questo è certo. Oggi sono un insegnante: è un compito difficile e delicato, perché si ha a che fare con la formazione in primis personale di un individuo. Spero di esserne all’altezza.
A quali situazioni ti riferivi?
Ho sempre avuto un rapporto di amore e odio con la musica. A titolo esemplificativo, posso citare due episodi: quando ho deciso di proseguire gli studi musicali e quando li ho finiti.
Nel primo caso, mi riferisco all’inizio del conservatorio. Ero in un periodo di grande confusione e penso di non aver scelto; è stata la vita a condurmi su quella strada.
Quando ho finito, ho abbandonato quasi completamente il pianoforte, per circa un anno. Poi, è scattato qualcosa in me: andavo a dormire e mi sentivo insoddisfatto, incompleto; è lì che mi sono reso conto di amare davvero la musica e di avere bisogno di fare musica.