Io sono Elisa. Sono un essere umano e sono femmina
Inauguriamo, in occasione della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, “Lo spazio di Elisa”. Da oggi “Tutta n’ata storia”, una volta a settimana, diventa il diario di una donna libera.
25 novembre: Giornata mondiale contro la violenza sulle donne.
Avrai già letto in giro che, insomma, queste donne non sono oggetti. Avrai riflettuto su mercificazione, girl power, femminismo. “Si però le donne sono inclini per natura ad essere madri”, avrai sentito dire anche questo o forse l’hai pensato tu. Oppure non è che uno possa rifletterci poi tanto su ogni data e ricorrenza. Neanche sul 25 novembre, neanche sulla violenza. Perché tanto non capita a te, capita magari a chi ti è accanto. E poi tua zia sorrideva mentre sfornava i cannelloni, il rossore in faccia era già via e no, non ci hai fatto caso. Non sei tu che hai il fidanzato che ti controlla Instagram, però la tua amica all’università, stupida lei, non può fare un passo senza consenso. Se ne parla troppo, se ne parla troppo poco.
Allora tu sei un po’ confusa, non hai capito se per essere femminista ti basti studiare ed aspirare ad un lavoro oppure, cos’altro? E fai bene ad esser confusa: non è certo uno slogan convincente quello di smettere di depilarsi le gambe. Si, si, la società patriarcale ed il modello di bellezza imposto, quello lo sai ma qualcosa non ti convince. Io in questa società ci vivo e mi piace piacere, penserai. Non hai torto. Importi di non fare ciò che desideri sarebbe l’ennesima violenza fatta alle donne. Questa volta servita proprio da qualche articolo femminista.
Tu anche sei un po’ confuso. Sogni una donna che ti stia accanto, però le ragazze di oggi sono tutte sul “chivalà”, non puoi dir nulla che in quella o quell’altra relazione sei stato attaccato: maschilista. Tanto vale esserlo davvero come fa qualche tuo amico con lo sguardo minatorio del più forte. Ma, nulla da fare, tu non ci riesci, sei troppo dolce e sembra che te ne debba vergognare e che ti debba reprimere se non vuoi fare la figura dello stupido.
Anche io mi sento confusa: la rivoluzione che ha colpito il rapporto uomo – donna nell’ultimo secolo ha lasciato l’umanità stordita. È un cambiamento in atto, è una mareggiata continua sulle nostre vite. Chi siamo? Chi sono io, donna? Chi sei tu, uomo?
Occorre che riflettiamo su questa confusione, ne prendiamo consapevolezza, ci interroghiamo sul nostro ruolo: cosa dobbiamo alla storia in quanto uomini e donne?
Oggi, 25 novembre, Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, Tutta n’ata storia sceglie di non segnare su un calendario una data, di non ricordarla come fosse una di quelle sveglie che rimbalzano sul display – “integratore, ricorda” – ma fa un atto che è prima di tutto un atto di generosità. Si zittisce, diventa un quaderno e si regala ad una donna. Io, Elisa, ho ricevuto questo onore e questa responsabilità. Da oggi, ogni settimana, in questa rubrica, mi racconterò come femmina, non come femminista.
Gli ultimi dati Istat, con riferimento agli ultimi tre anni, identificano la situazione inequivocabilmente: una donna uccisa ogni settantadue ore. Ogni tre giorni in Italia una donna muore perché donna.
In questo spazio non si parlerà del ruolo imprescindibile e preziosissimo delle Case delle donne, del lavoro dei tanti che, con le gambe troncate da mancati finanziamenti del governo, provano ogni santo giorno a strappare le donne alla morte. Non si parlerà del travaglio infinito della violenza durante, prima, dopo anche se il travaglio infinito della violenza domestica, improvvisa, psicologica, per strada, sottintesa avviene mentre io scrivo, mentre tu leggi ed è un avvenimento così continuativo e radicato che leggere i numeri, i dati è riduttivo, irrisorio.
Questo quaderno che diventa virtuale e diviene uno spazio in questo web di notizie che corrono e si rincorrono appartiene ad una donna che non ha subito violenza, chiariamolo subito. O meglio, non violenza acclarata. E, comunque, appartiene ad una donna fortunata e che, chiariamo anche questo, si ritiene libera.
Solo che questa libertà, presunta, conquistata ma non del tutto, non mi legittima a guardare fisso dinanzi a me e a dimenticare che sono donna, appartengo cioè ad una categoria che per millenni è stata ritenuta inferiore e non può bastare il mio piccolo successo personale per definirmi femminista. Oggi, spesso, si confonde il femminismo con l’arrivismo. Le donne devono essere come gli uomini. Gli uomini non devono essere come le donne. Ne consegue una vittoria del patriarcato più becero che ha indossato i panni del femminismo e ci ha convinte che dovessimo necessariamente aspirare alla carriera. Dimostrare che siamo più brave “noi”. Noi, voi. I maschi, le femmine. Un esercito di solitudini che sta avanzando sempre più incattivito. Gli uni contro gli altri. Urge, allora, una riflessione più intima. Proprio perché oggi, in Italia, una donna ogni tre giorni, muore.
Muore mentre tu sei presa dai tuoi piani per il lavoro, la carriera, l’indipendenza, mentre studi per questo. A te importa che ti salvi tu. E più questa visione individualistica si disgrega con il precariato che è il morbo inesorabile del nostro tempo, più ti convinci che tu ce la fai. Che non sei come quelle uccise in casa dai mariti violenti. Che è sufficiente arrabbiarti per lo stupro ai danni di una studentessa in strada perché potevi esserci tu, e che non c’è bisogno di soffermarti a pensare che il numero di violenze, stando all’Istat, è in calo per studentesse e giovani perché, vedi, le cose vanno meglio proprio per te: che sei studentessa, giovane, bianca, italiana in stato italiano e non muori di fame. Se le donne con minor accesso all’istruzione sono più esposte alla violenza, problemi loro.
In realtà, lo stesso quantitativo di odio e violenza è in circolo per loro come per te. Non esiste un loro ed un te. Tu sei solo più dentro la società patriarcale, magari perché frequenti l’università e ti sei solo imposta l’indipendenza come difesa senza mai chiederti realmente se quest’agognata indipendenza sia ciò che desideri o solo un altro modo per definire la grande indifferenza in cui è finita l’umanità.
Troppo poco sappiamo dei dolori degli altri a meno che non abbiano una storia di dolore da spettacolarizzare. Troppo poco sappiamo dei nostri dolori. Così perdiamo di vista ogni pulsione verso una qualche fratellanza. Confondiamo indipendenza con libertà. La libertà, a differenza dell’indipendenza, ha a che fare con l’amore, con i corpi, con gli spiriti. La libertà presuppone un atto di consapevolezza che per sua natura è intimo, spirituale e corporeo insieme. Se è di un atto di consapevolezza che abbiamo urgenza, in questo spazio comincerò io.
Questo scrivere è la mia libertà.
Io sono Elisa. Sono un essere umano e sono femmina.
Elisa M.
Illustrazioni di Renato Gattuso