Basta con i tormentoni estivi!
Anche per la musica arriva l’estate. Come cambiano le cose nel mondo del pop in questi mesi caldi? Analizziamo il fenomeno dei tormentoni estivi.
Arriva l’estate e porta con sé i tormentoni estivi: suoni allegri e reggaeton discutibili che sentiremo in qualsiasi posto fino ad impararne ogni singola parola, senza mai esserci fermati ad ascoltare sul serio. È questo quello che fanno le canzoni dell’estate: trasmettono spensieratezza, voglia di vivere, ballare e di godersi, dopo un anno di lavoro, la bella stagione, magari su una spiaggia in compagnia dei propri amici.
Tanti (forse troppi) nel corso degli ultimi anni si sono sentiti in dovere di diventare “artisti dell’estate”, cosa che non deve essere necessariamente vista con accezione negativa. Però – ci chiediamo – non è che gli italiani stanno iniziando a stancarsi di tutta questa musica confezionata ad hoc per essere un prodotto vendibile e sfruttabile fino all’ultima nota? Quello che, forse manca, in alcuni casi, è la verità e lo spessore artistico che non devono mai essere messi da parte in una produzione.
Quest’anno, per fortuna o per sfortuna, gli artisti italiani che hanno deciso di lanciare un tormentone estivo sono stati pochi. Riesumate Giusy Ferreri, Baby K, immancabili da qualche estate a questa parte, altri si sono limitati a scimmiottare un ritmo che in realtà non gli appartiene, perché quando lo si ascolta
si percepisce la mancanza dell’anima e qualsiasi attento ascoltatore lo riesce ad avvertire. Se un pezzo funziona, funziona sempre e non nasce con la pretesa di diventare virale.
Nonostante le classifiche non diano ragione a questa teoria, ogni volta che una radio passa uno di questi brani, c’è sempre qualcuno pronto ad esordire con un “Ancora?”, ma puntualmente finiamo tutti per cantarne il ritornello. Ed è qui che sta il gioco, le vendite, le classifiche: riproporre la stessa identica melodia fino allo sfinimento, tutte cose che non dovrebbero appartenere all’arte del fare musica. Perché poi comporre secondo un preciso canone prestabilito? Chi lo ha detto che in estate si deve per forza suonare in questo modo? Ci vorrebbe una rottura definitiva con questo cliché del “reggaeton per forza”.
Anni fa, nel 2006, durante i mondiali di calcio, vinti poi dalla nostra Nazionale, gli italiani erano riusciti a sdoganare questo concetto. Forse per la prima volta è stato il popolo a decretare il successo dell’estate: un pezzo del 2003 dei White Strips “Seven Nation Army”, diventato prima coro da stadio e poi, inno di un’estate indimenticabile. Nessun reggaeton, nessuna chitarra da spiaggia, eppure quella canzone ha funzionato lo stesso. E chissà quanti discografici saranno impazziti dietro certe logiche di mercato: la musica è libertà espressiva e questo dovrebbe essere inteso da ogni musicista.
Per questo un appello agli artisti pop dell’estate è doveroso, magari lo terranno a mente per il prossimo anno: osate, abbiate il coraggio di raccontare la vostra verità, mantenendo la vostra linea melodica e la vostra identità. Tanto, siamo sicuri, ci sarà qualcuno che sceglierà il vostro pezzo come “tormentone della propria estate” e quell’uno ve ne sarà grato per sempre.
“In direzione ostinata e contraria” come Fabrizio De André. Ascolto troppi dischi, vado a molti concerti e riverso le mie sensazioni su fogli Word scritti in Helvetica. La mia musica è sempre lì: tra i miei abissi e le mie montagne, pronta ad accogliermi come un vinile di Chet Baker. Faccio liste che lascio sparse in giro per casa, perché mi aiutano a mettere in ordine i pensieri, le idee e i film che devo assolutamente vedere prima di morire.
Mi piacciono: la politica che mi fa sentire viva, le storie dei matti e le storie folli, i luoghi abbandonati, Kurt Cobain, la violenza sul grande schermo, i tatuaggi, i nei, il mare d’inverno, l’Islanda e l’Africa, il numero 7 che mi ricorda che ci si può dedicare una vita intera alle passioni, Peaky Blinders e Vikings, la mia Albania, perdermi tra le Chiese e i vicoli di Napoli, l’orgoglio che ci metto nel dire che sono del Sud, il giradischi che ho comprato lavorando per qualche mese ad Amnesty International e la mia (ancora piccola) collezione di vinili.