Vita in atto, vita in potenza: l’aborto al Congresso delle Famiglie
“Tutta n’ata storia” ha un’amica che porta avanti i valori della parità di genere e della libertà sessuale, e che ogni tanto ci scrive per condividere con noi le sue riflessioni. Si chiama Elisa e oggi ha voluto commentare il “Congresso Mondiale delle Famiglie” che si è tenuto in questi giorni a Verona.
Non esiste equazione che leghi aborto e dolore. Esiste, invece, una mentalità così radicata che impone alla donna che abortisce lo stigma del dolore. Peggio, della condanna a vita al pentimento. Questa è una grande menzogna, un primo dolore imposto e gratuito. Dicono: Tu vita in atto hai ucciso la vita in potenza.
Iniziava il Congresso delle Famiglie sulla base di questa colpevolizzazione, che tuona tanto come lo scagliarsi di una pietra (come le tante pietre che hanno lapidato tante donne). Dall’equazione di aborto = colpa = dolore si passa rapidi a far del dolore, spettacolo. Guardatelo il feto! Tutti invitati, signori! Il clima da horror tragicomico ben prepara al successivo, manipolato sentimento: lo sdegno. Si ergono foreste di indici puntati. “Assassina!”.
L’imperativo della procreazione riduce inevitabilmente l’atto sessuale a contratto. Se il sesso è contratto che prevede risultato, allora qualora il tuo amore non fosse spontaneamente procreativo, sei tu che devi essere corretto, riparato. Del resto, cos’è il tuo corpo, in questa concezione, se non una macchina? Un contratto in cui la violenza resta un segreto e viene annunciata a gran voce la volontà di un eclatante stupro della libertà di ciascuno. In un aberrante clima da Controriforma si pianifica l’esecuzione della libertà di scelta.
Sogno un mondo in cui le uniche grida di donne nella notte siano grida di orgasmi felici, pieni. Un mondo in cui i figli non siano un dovere ma la testimonianza di un amore libero e liberamente vissuto. Dove sono invece i figli della famiglia tradizionale? Forse chiusi in camera, a masturbarsi. Il porno racconta il sesso come un sopruso e loro probabilmente questo imparano. Lo imparano in una società chiusa ed ottusa che non sa parlar loro di precauzioni e bellezza. E i genitori segregati dietro l’atavico muro dei tabù, cosa sapranno dire? Se si insegnasse la contraccezione magari non ci sarebbero più aborti, ma donne e uomini più consapevoli e responsabili. Se i medici obiettori non fossero la stragrande maggioranza in Italia, l’aborto non sarebbe il calvario che è. Ma questo non lo sanno dire.
Penso a chi, in questi tempi ancora cupi, arriva all’amore e al sesso come processo di formazione spontaneo. Farlo, comporta espiare colpe non proprie, giudizi non meritati che il passato getta sulle teste degli uomini e delle donne libere, a sconfiggerne senso critico e intelligenza.
Penso a lei, donna, vita in atto. Lei, con i suoi pesi sulle spalle, quell’ovvio fardello di sentimenti, preoccupazioni e dolori di chi già è. L’altra vita cos’è? È vita in potenza, ciò che potrebbe essere. Non ciò che dovrà per forza essere a costo di distruggere ciò che già è. Esiste la probabilità che la nuova esistenza trascini entrambe in un vortice distruttivo così come esiste la probabilità che apporti bellezza. Ma questo rischio è lei, in quel preciso istante della sua vita, a dover decidere se correrlo o meno. Non è per questo e non lo sarà mai, un’assassina. Se il suo dolore sarà, sarà intimo e prezioso, anni luce lontano da chi sbandiera disgusto e costrizione.
Elisa M.