Verso il 21 marzo: vi raccontiamo di…Genny Cesarano, l’eterno ragazzo del Rione Sanità
Inizia “Verso il 21 marzo”, lo speciale di Tutta n’ata storia che anticipa la “Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie”. Questa volta vi raccontiamo di Genny Cesarano, 17enne ucciso dalla camorra nel 2015.
Anche quest’anno ritorniamo con il nostro speciale “Verso il 21 marzo”, ve lo avevamo ricordato e raccontato nell’articolo precedente.
Quella di oggi è una storia “giovane” da tutti i punti di vista: è successa nel 2015 ed anche la vittima, giovane, lo era.
Tutto cambia, si evolve e lo fa anche la camorra che muta le “tecniche di attacco” e di dominio del territorio, intrappolata in una logica guerrigliera che vede i clan comportarsi come stati sovrani. Le conseguenze? Il morto innocente di turno cresciuto in una città la cui camorra continua – ancora oggi nel 2019 – a distruggere.
LA STORIA
Napoli. È la notte tra il 5 e il 6 settembre al Rione Sanità, quando dei colpi d’arma da fuoco raggiungono Genny Cesarano togliendogli la vita a soli 17 anni.
Genny al mattino si sarebbe alzato presto per l’ultima corsa al mare, prima di ritornare tra i banchi di scuola, spensierato e incurante di quelli che sarebbero stati i giorni futuri.
Il posto sbagliato al momento sbagliato? No! Genny era esattamente dove doveva essere: con i suoi amici, nel luogo che lo ha visto crescere, in una sera di fine estate, a parlare distesi sui motorini, spaccandosi le prime sigarette e immaginando di scappar lontano.
LA “STESA”
Un colpo, tre colpi, dieci colpi, le raffiche di proiettili che cadono giù, il silenzio della notte e poi il rumore assordante delle pistole: tutti scappano, si proteggono con la prima cosa che trovano, ma per Genny non basta, un bossolo lo raggiunge, lasciandolo disteso in quella Piazza per sempre.
Il giorno dopo sui giornali si parlerà di “stesa”: un “atto di supremazia” fatto per stabilire il controllo di una zona da parte di un clan ai danni dell’altro.
Molto spesso a fare da esecutori materiali delle “stese” sono i giovanissimi del “sistema”, che girano in gruppo sfrecciando sui loro SH e sparando all’impazzata con le pistole e i kalash.
Lo fanno per sentirsi grandi e parte di un qualcosa che dà “potere”, coi soldi possono avere quello che vogliono: dai vestiti firmati al sogno di diventare personaggi reali di Gomorra, dei baby killer pronti a tutto per ottenere lo status di boss.
Chissà cosa sarebbe successo se prima di accettare l’ignobile proposta di Carlo Lo Russo (mandante della stesa di quella notte alla Sanità ed ex boss pentito), a quei ragazzi avessero detto che avrebbero ucciso un loro coetaneo, un giovane che con tutto il marcio della camorra e le logiche del sistema non c’entrava nulla.
Avrebbero fatto un passo indietro? Sarebbero riusciti a provare un minimo di compassione?
LE CONDANNE
Quella sera a compiere l’omicidio di Genny erano in quattro: Luigi Curatelli, Antonio Buono, Mariano Torre e Ciro Perfetto; giovanissimi, che devono aver provato sicuramente un minimo di risentimento a veder cadere davanti ai loro occhi un 17enne che poteva essere loro amico.
Ciro Perfetto lo sa bene, 21 anni e all’ergastolo insieme agli altri tre, per essere stato non solo uno degli esecutori di quella notte, ma la punta di diamante dei killer del clan Lo Russo (oramai diventato il clan dei pentiti). Perfetto parla ai genitori di Genny in aula, implora perdono: non lo avrebbe fatto se avesse saputo che avrebbe colpito un suo coetaneo, ma quanto peso hanno le sue parole? Quanti altri Genny Cesarano dovranno essere sparati in piazza per far pentire i Ciro Perfetto?
LA MEMORIA
Quello che è certo è che la gente onesta non vuole dimenticare, per questo scende in piazza e si mobilita, urla “No alla camorra!”, con tutto il fiato e la voce che gli rimane per lottare, per cercare di ridare dignità a Genny e alla sua famiglia.
Qualcuno dà colpe allo Stato “alla Sanità non c’è neanche una pattuglia”, perché sono incazzati, hanno paura di altre possibili ripercussioni sui loro figli e su di loro, che nella guerra tra clan rivali sono solo anime vaganti, e nessuno può dargli torto.
Alla fine quello che rimane oggi, a distanza di tre anni e mezzo, è la memoria e il grido di chi continua a subire tutto questo: una statua nella piazza principale della Sanità che vede Genny recuperare un pallone su delle travi, il simbolo di una città intera, un ricordo visibile e tangibile, il fermo immagine di chi resterà nella memoria collettiva l’eterno ragazzo; ucciso per volontà della camorra.
“In direzione ostinata e contraria” come Fabrizio De André. Ascolto troppi dischi, vado a molti concerti e riverso le mie sensazioni su fogli Word scritti in Helvetica. La mia musica è sempre lì: tra i miei abissi e le mie montagne, pronta ad accogliermi come un vinile di Chet Baker. Faccio liste che lascio sparse in giro per casa, perché mi aiutano a mettere in ordine i pensieri, le idee e i film che devo assolutamente vedere prima di morire.
Mi piacciono: la politica che mi fa sentire viva, le storie dei matti e le storie folli, i luoghi abbandonati, Kurt Cobain, la violenza sul grande schermo, i tatuaggi, i nei, il mare d’inverno, l’Islanda e l’Africa, il numero 7 che mi ricorda che ci si può dedicare una vita intera alle passioni, Peaky Blinders e Vikings, la mia Albania, perdermi tra le Chiese e i vicoli di Napoli, l’orgoglio che ci metto nel dire che sono del Sud, il giradischi che ho comprato lavorando per qualche mese ad Amnesty International e la mia (ancora piccola) collezione di vinili.