Tam Tam e “Born in Italy”: partire dal basket per chiedere una legge uguale per tutti
Una squadra di basket del casertano ha ingaggiato una battaglia per permettere ai suoi atleti di disputare il campionato. Cosa glielo vietava? Il fatto di essere considerati stranieri dalla legge italiana. Ma la lotta non è ancora finita e ora continua con “Born in Italy”.
Dei ragazzini, un pallone da basket, una macchina fotografica e una battaglia per la parità di diritti. È questa la trama sintetica di un progetto che si chiama “Born in Italy”, che ha come co-protagonista la “Tam Tam Basketball” e che potrebbe essere una favola pazzesca. Andiamo con ordine. Le migliori favole cominciano tutte con “c’era una volta…”; proviamo ad essere – più o meno – fedeli alla tradizione e iniziamo così…
C’era una volta…
o, meglio, c’è stata una volta e c’è ancora oggi una squadra di basket. Si chiama “Tam Tam Basketball”. Nasce nell’estate del 2017 a Castel Volturno, in provincia di Caserta. A comporla vi sono bambini e ragazzi che qui sono nati o che vi vivono da quando hanno memoria; vanno a scuola in zona, parlano napoletano, giocano sulle spiagge del litorale dove e quando possibile. E, appunto, giocano a basket: è il loro passatempo dopo i compiti, il loro strumento per evadere dai piccoli problemi della quotidianità, il loro modo per vivere la propria terra. Grazie al coach Massimo Antonelli, imparano giorno per giorno qualcosa in più sulla disciplina sportiva che praticano. Antonelli è un ex cestista di Virtus Bologna, Mestre e Napoli, nonché della Nazionale italiana con la quale ha vinto un bronzo ai Giochi del Mediterraneo del 1975; e, più semplicemente, è un sognatore concreto e ostinato. Perché? Perché ha dimostrato che quando vuoi una cosa – nello sport e nella vita – devi andartela a prendere. Manca un’opportunità di svago accessibile a tutti? Ecco una squadra di basket. Mancano i soldi per finanziare il progetto? Al via un crowdfunding, il 5×1000 e raccolte fondi varie che hanno permesso di ristrutturare il palazzetto dove oggi i suoi ragazzi si allenano. Manca l’attrezzatura sportiva? Si cerca la collaborazione di un’apposita fondazione, in questo caso la Decathlon.
Solo che, ad un certo punto, la bella storia di coach Antonelli e dei ragazzi del Tam Tam deve fare i conti con una realtà che, quando ti vede “cazzuto”, alza ancora di più l’asticella per metterti ulteriormente alla prova. La squadra non può iscriversi a campionati FIP. Non è questione di soldi e nemmeno di strutture. Il problema è un altro: quei bambini e ragazzi nati a Castel Volturno, che vanno lì a scuola, parlano napoletano e giocano sulle spiagge del litorale hanno la pelle nera; o, meglio, non sono considerati cittadini italiani. Per la legge sono stranieri perché figli di immigrati, e il regolamento vieta la presenza in una squadra di più di due stranieri. Qui la suddetta legge è spiegata più nei dettagli.
Mancavano soldi, opportunità e attrezzatura sportiva e non è stato un problema, dicevamo; ma come si fa quando manca una legge? Quando vuoi una cosa, devi andartela a prendere. Antonelli e i suoi ragazzi sono usciti dal campo, ma con la stessa grinta hanno continuato a lottare per chiedere, banalmente, la possibilità di giocare. La vicenda è stata portata all’attenzione dei media e, da lì, in parlamento. Sotto il governo Gentiloni e l’allora Ministro dello Sport Luca Lotti, nella scorsa legge di bilancio è stato introdotto l’emendamento “Tam Tam”, che consente il tesseramento annuale anche ad atleti extracomunitari non in regola con i permessi di soggiorno, a condizione che abbiano seguito un ciclo scolastico di almeno quattro mesi. Lì dove lo ius soli ancora tace, il basket casertano ha fatto canestro, insomma.
La Tam Tam con Antonelli e i suoi ragazzi ha potuto, così, iscriversi ai campionati desiderati e continuare, con ancora più convinzione, un percorso che insegna il valore del gioco di squadra, l’abilità di superare gli avversari e la soddisfazione di arrivare a punti; e non solo sul campo da pallacanestro.
La storia, a questo punto, potrebbe concludersi con un “e vissero tutti felici e contenti” che, sì, ci starebbe proprio a pennello. Ma non è così, perché la vittoria legislativa della Tam Tam riguarda solo lo sport; e nella vita quotidiana? A questo punto, arriva un’altra favola, che si intreccia alla precedente e, in qualche modo, ne rappresenta un continuo.
È la favola di Carmen Sigillo, fotografa napoletana e fautrice del progetto “Born in Italy”. Carmen è stata a Castel Volturno per scattare qualche foto ai ragazzi della Tam Tam Basket durante il periodo di “lotta”. “Credevo, all’epoca, che sarei rimasta sulla Domitiana uno o due giorni, che avrei offerto il mio contributo con qualche scatto e poi mi sarei dedicata ad altro. Altrove”, scrive sulla pagina Facebook dell’iniziativa, “Ben presto, però, dai campi di allenamento, col consenso dei genitori, ho puntato l’obiettivo sulla quotidianità degli atleti del coach Antonelli e, da allora, non sono più riuscita a lasciare il territorio, i ragazzi”. E, così, è nata una mostra fotografica, “Born in Italy”, appunto, che si è tenuta proprio a Castel Volturo e che ha visto la promozione anche del manifesto #IOSONOBORNINITALY. Il progetto, infatti, non consiste solo nei suggestivi scatti della bravissima Sigillo, ma in una richiesta a tutti, a chi conosce a malapena la storia della Tam Tam, a chi ne sta leggendo ora, a chi semplicemente è tifoso dell’uguaglianza: scattarsi una foto con ben in vista l’hashtag #iosonoborninitaly e inviarla alla pagina Facebook della campagna. Al raggiungimento delle mille foto, le immagini diventeranno una sorta di petizione alternativa. Verranno raccolte e inviate agli organi costituzionali per chiedere pari dignità ed opportunità per tutti i bambini e ragazzi nati in Italia, ma che la legge considera ancora stranieri. Personaggi noti – come il capitano del Napoli Marek Hamsik – ci hanno già messo la faccia; ma possiamo contribuire tutti.
Nello sport, grazie soprattutto alla Tam Tam Basket, la partita è stata già vinta; per scrivere il vero “e vissero tutti felici e contenti”, il campionato è ancora aperto.
Chissà se un giorno potremo scrivere “c’era una volta”, ma non per iniziare belle favole da raccontare. Piuttosto, per dire che non ci sarà più, finalmente. Non ci sarà più una legge che distingue gli uomini tra stranieri e non. Che, poi, straniero di chi? Del mio compagno di banco? Dell’amico con cui vado al mare? Del salumiere che parla il mio stesso dialetto? Del maestro che mi insegna un po’ di matematica e un po’ di vita? Del coach che mi allena? Della ragazza che sogno di conquistare?
C’era una volta, e ora non c’è più. Non ci sarà più. E vivremo tutti felici e contenti; anzi: umani e contenti.
“Devi cambiare d’animo, non di cielo”: la frase che mi ripeto più spesso quando mi viene voglia di scappare; ma restare mi piace di più. Credo nelle radici anche quando meriterebbero di essere estirpate.
Il mio primo amore è stato – ed è – il calcio. A 14 anni ho iniziato a seguire il Sant’Antonio Abate, prima da appassionata e poi da addetto stampa: Eccellenza, serie D, Eccellenza e continua a leggere