La libertà di stampa non esiste
Si celebra oggi la “Giornata mondiale della libertà di stampa”. Uno sguardo ai dati di Reporter Sans Frontieres e alla crisi che il giornalismo sta affrontando ovunque nel mondo, Italia compresa.
Si è travestito da reporter per confondersi tra i giornalisti. Erano le 8 del mattino quando ha azionato la sua cintura esplosiva facendo almeno 37 morti. Cronisti, cameramen, fotografi. È successo a Kabul il 30 aprile. L’attentato è stato rivendicato dallo Stato Islamico.
L’Afghanistan, già nel 2017, si è collocato tra i Paesi in cui si è registrato il più alto numero di giornalisti uccisi nell’esercizio del loro lavoro. Reporters sans frontieres ne ha contati 9 in un anno, cifra già tristemente superata in questi primi mesi del 2018. Sul gradino più alto del podio c’è la Siria, con 12 casi accertati. In Iraq 8. Ma non pensiate che occorra spostarsi nelle zone devastate dai conflitti bellici perché il mestiere di documentare diventi pericoloso. Lo dimostra ad esempio il Messico, che pur non essendo un paese di guerra, si è guadagnato il bronzo della macabra classifica stilata alla fine dello scorso anno: 9 i giornalisti che hanno pagato col sangue questo terzo posto. 65 morti in tutto nel mondo. Sono solo i casi accertati, però. E a questi si aggiungono 326 reporter detenuti, 54 attualmente in ostaggio e 2 scomparsi.
Si celebra oggi la “Giornata mondiale della libertà di stampa”, una ricorrenza voluta dall’Onu per ricordare ai governi e non solo l’importanza dell’articolo 19 della “Dichiarazione universale dei diritti umani”: “Ogni individuo – recita il testo – ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere“. In 65, dal 2017, non potranno più diffondere informazioni, né idee.
E l’Italia?
Il Bel Paese si colloca alla 46esima posizione su 180 tra i Paesi presi in esame da RSF per stilare l’annuale classifica sulla libertà di stampa. Al primo posto c’è la Norvegia, all’ultimo la Corea del Nord. L’Italia, rispetto a un anno fa, ha guadagnato 6 posizioni, ma è ancora lontana dal poter vantare una stampa libera e tutelata. Nel rapporto stilato dalla celebre ong francese si legge che “il livello delle violenze perpetrate contro i reporter (intimidazioni verbali o fisiche, provocazioni e minacce…) è molto inquietante e non cessa di aumentare, in particolare, in Calabria, Sicilia e Campania“. Una decina di giornalisti è ancora sotto protezione permanente per minacce perpetuate da organizzazioni mafiose o fondamentaliste, ma non è solo la criminalità ad imbavagliare. RSF ha segnalato anche che “numerosi addetti dell’informazione sono sempre più preoccupati a causa della recente vittoria alle elezioni legislative di un partito, il Movimento 5 Stelle, che ha spesso condannato la stampa per il suo lavoro e che non esita a comunicare pubblicamente l’identità dei giornalisti che lo disturbano”. Non volendo entrare nel merito, resta un fatto che la stampa ha dovere di mediare tra istituzioni e cittadini. Quando le istituzioni la rifiutano è alla comunità che finiscono per negare un servizio e le censura della parola contraria è una pratica che nulla ha da invidiare al fascismo. Certo è che non è solo il M5S a macchiarsi di questo atteggiamento.
Ma non è tutto. Perché se da un lato c’è la criminalità organizzata, e dall’altro una politica sempre più ostile all’informazione libera, un terzo peso schiaccia con violenza il diritto di cronaca: il ricatto economico che ha tolto all’editoria l’indipendenza. Perché oggi i giornali sono spesso proprietà di politici, di partiti e di imprenditori; vivono di finanziamenti privati e se il privato ha acquistato la pubblicità di pagina 7, a pagina 10 non può comparire un articolo in cui l’immagine dello stesso privato viene messa in dubbio dal primo cronista che passa. Neanche se quel cronista ha scelto di fare il suo lavoro con onestà e dedizione nonostante sia un precario senza contratto, pagato a gettone e con un reddito massimo che sfiora appena i 10 mila euro all’anno. Secondo l’Ordine dei Giornalisti 8 reporters su 10 in Italia vivono sotto la soglia di povertà.
Sotto le bombe o sotto la fame. La libertà di stampa non esiste.
Un incastro di contraddizioni croniche, a partire dal fatto che potrei scrivere di qualunque cosa ma che vado in crisi se si tratta di parlare di me. 30 anni, copywriter, giornalista e marketing manager. Laureata in lingue perché affascinata da tutto quello che non somiglia al posto in cui vivo. Sarà perché vivo in un paese piccolo, dove per i sogni a volte sembra non esserci spazio, allora ogni tanto vorrei infilarli in valigia e portarli con me all’estero. Viaggi brevi però, perché credo anche nelle radici, continua a leggere