Verso Il 21 marzo: vi raccontiamo di… Michele Ciarlo
Una storia che si svolge tra Scafati e Pagani quella di Michele Ciarlo, due paesi vicinissimi a Sant’Antonio Abate. È anche per questo che abbiamo deciso di raccontarvi del penalista ucciso dalla mafia nel salernitano per il nostro speciale “Verso il 21 marzo”; ma è il perché della vicenda quello che conta davvero.
Sapete quanti chilometri, in linea d’aria, separano Sant’Antonio Abate da Pagani? Poco più di sette. E sapete quanto dista, invece, la nostra cittadina da Scafati? Circa tre. Perché vi diamo questi numeri, queste distanze e queste città? A che gioco stiamo giocando? A nessuno; però, mettetevi ugualmente comodi e continuate a leggerci, perché vogliamo raccontarvi una storia.
UNA STORIA MOLTO VICINA
Una storia che si svolge proprio tra Pagani e Scafati, e che con Sant’Antonio Abate non ha apparentemente nulla a che vedere, se non la vicinanza geografica, che dovrebbe aiutarci a prendere atto di una cosa: certe tragiche vicende ci appartengono più di quanto immaginiamo. Una storia di una vittima innocente di mafia, una di quelle meno conosciute; una storia che ci accompagnerà in un percorso di conoscenza e di coscienza fino al 21 marzo, Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. La storia di Michele Ciarlo.
CHI È L’AVVOCATO MICHELE CIARLO
Michele Ciarlo era un avvocato; anzi, è un avvocato. “È”, già; perché quando la sua vita è stata spezzata stava facendo il suo mestiere, e quindi un avvocato lo resterà per sempre. Michele Ciarlo, dunque, è un avvocato di Pagani, che però ha lo studio legale a Scafati, in via De Gasperi. Ha trentasei anni quando, nel 1995, lavora alla difesa di alcuni malavitosi appartenenti alla camorra locale, tra cui figura Angelo Visciano, uomo di punta del clan Visciano-Sorrentino, che a Scafati è in particolare competizione con un altro clan, quello degli Aquino-Annunziata.
QUEL TERRIBILE 22 MARZO ’95
L’avv. Ciarlo è dietro la sua scrivania a lavorare quando il 22 marzo, alle ore 18.30, qualcuno fa irruzione nel suo studio. Non fa in tempo ad accorgersi di cosa stia succedendo, perché non fa in tempo nemmeno ad alzarsi dalla scrivania: Michele viene colpito da due proiettili calibro 38 special o 357 magnum; ma è il successivo colpo da una calibro 9×21 che lo ucciderà, come si evince poi dalla perizia balistica.
LA PRIMA IPOTESI SULL’OMICIDIO: L’ACCUSA DI VISCIANO
L’attenzione degli inquirenti, ovviamente, vira subito sull’ambiente camorristico scafatese e, in particolare, verso i Visciano-Sorrentino. Angelo Visciano, però, muove un’accusa verso un altro malavitoso locale: il boss Galasso, che stava collaborando con la giustizia. Malato di AIDS, Visciano dal suo letto chiama i carabinieri di Salerno e rivela che è stato il pentito ad assassinare l’avvocato. Il movente? Pare che Ciarlo avesse scoperto che il pentimento di Galasso fosse falso, perché questi continuava ad avere contatti con i suoi alleati.
LA SECONDA IPOTESI SULL’OMICIDIO: LA TELEFONATA ANONIMA
Ma il 27 marzo, cinque giorni dopo l’assassinio di Ciarlo, al 112 arriva una telefonata anonima che fa ricadere la colpa proprio su Angelo Visciano. I particolari forniti dall’anonimo accusatore sono troppo dettagliati e corrispondenti al vero per non essere presi in considerazione dalle forze dell’ordine.
LA TERZA IPOTESI SULL’OMICIDIO: LA VENDETTA TRASVERSALE
In tutto ciò, gli inquirenti non possono escludere l’ipotesi che Michele Ciarlo sia stato vittima di una vendetta trasversale degli Annunziata-Aquino contro i Visciano-Sorrentino, che l’avvocato, appunto, difendeva.
LA VERITÀ DOPO UN ANNO E MEZZO
Segue un anno e mezzo di indagini, ma anche di silenzio, perché non si riesce a venire a capo di quella che è una matassa sempre più intricata. Fino a quando, nel novembre del 1996, il banale arresto di Gaetano Albano, detto Nino o’ Milanese, per porto e detenzione abusiva di arma illegale, dà il via alla scoperta della verità. Albano aveva rapporti d’amicizia con Federico Nicodemo, sospettato di appartenere al clan Annunziata-Aquino. Ed è proprio “o’ Milanese” a confessare che sia lui che Nicodemo hanno preso parte all’omicidio di Michele Ciarlo, insieme a Filippo Veneruso e Carmine Aquino.
LA RICOSTRUZIONE DEI FATTI
Parte, così, la ricostruzione dell’accaduto. Albano è stato il primo ad entrare nello studio dell’avvocato il 22 marzo del ’95, per accertarsi della sua presenza. Poi, ha fatto da palo mentre Veneruso e Nicodemo compivano l’assassinio; di quest’ultimo il colpo mortale alla nuca. Cosa c’entra Carmine Aquino? È stato lui il mandante. La terza ipotesi, dunque, quella della vendetta trasversale contro i Visciano-Sorrentino, risulta essere il movente della morte di Michele Ciarlo. Una vendetta che voleva risuonare come il dominio degli Aquino sull’intero territorio di Scafati. Si scoprirà che anche la telefonata anonima al 112 era stata ad opera di Albano, col chiaro intento di depistaggio.
LA CONDANNA DEI COLPEVOLI
Le telecamere vicine allo studio di Ciarlo e una confessione strappata a Veneruso grazie alla collaborazione di Albano, basteranno per confermare l’intero racconto di quest’ultimo. E nel luglio del 1999 gli accusati vengono arrestati. Quelli rimasti in vita, però; Albano, infatti, già gravemente ammalato, decide di impiccarsi in carcere. Per tutti gli altri c’è l’ergastolo. Le condanne sono state confermate fino all’ultimo grado di giudizio.
QUEL CHE MICHELE CIARLO HA LASCIATO
Il 22 marzo 1995 Michele Ciarlo ha lasciato una moglie e due figli, ma anche un immenso vuoto in due città: Scafati, che lo ha visto lavorativamente impegnato, e Pagani, che lo ha visto vivere.
Michele Ciarlo è un avvocato trentaseienne che è stato ucciso per lo sfizio di veder prevalere la legge del più forte; è stato il macabro trofeo di un clan che voleva dimostrare di detenere il potere assoluto a discapito di un altro clan e su un’intera città.
IL PERCHÉ DI QUESTA STORIA
Una città, Scafati che dista circa 3 km in linea d’aria da Sant’Antonio Abate. Era il 1995 e si è trattato di una vendetta trasversale ai danni di un avvocato che difendeva camorristi. Perché dovrebbe interessarci? Della vicenda dobbiamo prendere il fulcro: al di là di personaggi e moventi, certe cose accadono anche qui, e non solo nei telegiornali. Oggi, anni dopo, la mafia ha mille volti e si insinua nella quotidianità di questo Bel Paese, e potrebbe essere anche nel nostro bel paese, tra le strade che facciamo più volte al giorno, celandosi dietro a forme meno evidenti. Il sangue che fa sputare è nero anche quando non uccide. Ed è per questo che la mafia va raccontata: affinché sia conosciuta e, di conseguenza, affrontata.
Il nostro speciale “Verso il 21 marzo” è un invito a prendere conoscenza e coscienza. Continuate a seguirci per altre storie di vittime di mafia e non solo.
FONTI: “Legale assassinato nel salernitano” – Repubblica del 23/03/1995; opuscolo “Vivi!” di maggio 2012 – Libera Pagani
“Devi cambiare d’animo, non di cielo”: la frase che mi ripeto più spesso quando mi viene voglia di scappare; ma restare mi piace di più. Credo nelle radici anche quando meriterebbero di essere estirpate.
Il mio primo amore è stato – ed è – il calcio. A 14 anni ho iniziato a seguire il Sant’Antonio Abate, prima da appassionata e poi da addetto stampa: Eccellenza, serie D, Eccellenza e continua a leggere