RAZZISMO, QUEL CHE LA STORIA NON CI INSEGNA

Lo scorso sabato 3 febbraio, a Macerata, il ventottenne Luca Traini a bordo di un’auto ha sparato dei colpi di pistola in diverse zone della città, ferendo sei persone. Poche ore dopo l’accaduto, durante la cattura, Traini ha rivolto un saluto fascista davanti al Monumento ai Caduti, con una bandiera italiana sulle spalle. L’imputato ha poi confessato di essere l’autore della sparatoria.

Questa è la descrizione dei fatti: un uomo che spara su persone innocenti, ognuna con la propria identità e cultura, ma accomunate dall’essere uomini e donne, che resteranno per sempre segnate da quest’episodio che gli cambierà l’esistenza. Non accadeva da un po’, ma potremmo dire di essere ormai quasi abituati a ricevere notizie del genere, che ci piombano addosso nel corso delle nostre giornate se non altro perché il pensiero del “poteva capitare a me” è sempre dietro l’angolo.

Dovremmo conservare la stessa empatia, quando, con l’avanzare delle indagini, si scopre che i feriti nella sparatoria erano tutti originari del Nord-Africa. Potrebbe essere un caso, e invece no: lo stesso Traini ha ammesso spontaneamente che il suo scopo era solo “sparare sui neri che spacciano”.
Sui motivi che lo avrebbero spinto a commettere tale atrocità è lui stesso ad aver fatto chiarezza: vendicare Pamela Mastropietro, la giovane fatta a pezzi e abbandonata in due trolley, per mano di Innocent Oseghale, anche lui di origini nordafricane e residente in una delle zone in cui Traini ha sparato i suoi colpi “giusti”; ma per fortuna su questa vicenda la giustizia, quella vera, sta già facendo il suo corso.
Piuttosto, quale aggettivo dovremmo attribuire a chi improvvisamente decide di scendere per strada e sparare su degli innocenti, pensando di fare giustizia, in nome di una fede politica o religiosa che sia? Terrorista? Folle? Probabilmente entrambi.

È un modo diverso di fare la guerra. È una guerra diversa da quella che noi giovani abbiamo conosciuto solo attraverso i racconti dei nostri nonni, le pagine di storia, le opere di Calvino, della Harendt. All’epoca c’erano un fronte e due fazioni a contendersi il territorio; oggi è una guerra interna e improvvisa, combattuta il più delle volte da uno solo contro decine di indifesi.
Invece della guerra, noi giovani abbiamo sperimentato cosa significa appartenere ad un unico grande Paese, composto di tanti Paesi più piccoli, e tra questi pure il nostro: l’Europa. Siamo la generazione Erasmus. Siamo quelli che con poche centinaia di euro e zaino in spalla prendono un volo per fare un viaggio all’estero, senza pensarci troppo. Abbiamo imparato che si può star bene in mezzo a persone con culture e tradizioni diverse.

Con o senza la guerra, le generazioni dell’ultimo secolo hanno avuto modo di ripudiare ogni tipo di odio nei confronti di chi è diverso. Ora è come se volessero toglierci tutto questo, come se volessero convincerci che esiste un popolo, una razza, una religione migliore degli altri, ancora una volta. Come se la storia non ci avesse insegnato proprio niente.
Ma è davvero questo il Paese in cui vogliamo vivere?

La nostra Costituzione, che in tanti hanno ostentato e si sono ostinati a difendere in tempi caldi come quelli del Referendum del 4 dicembre 2016, ma che in pochi conoscono e attuano davvero, all’articolo 10, recita così: “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge.”

Nel Paese che vorremmo, non dovremmo desiderare nessun altro programma elettorale, se non la Costituzione. Nel Paese che vorremmo, i politici prima, il popolo poi, dovrebbero andare nella stessa direzione dei principi che li rappresentano.
Se queste parole non ci rispecchiano, o ci stanno strette, allora dovremmo forse toccherebbe a noi emigrare, perché ci troviamo nel Paese sbagliato.

Melania D'Aniello

Come si fa a descrivere se stessi? Non lo so, ma so quello che gli altri dicono di me.

Qualcuno dice che io sia ostinata e rompiscatole. Tutti dicono che io sia coraggiosa, e uno dei motivi è perché studio Fisica. Sì, è vero, è stata la scelta più folle della mia vita ma, quando l'ho fatta, sapevo che mi sarebbe piaciuto studiare come riassumere l’Universo in leggi concise e ben ordinate.

Ciò che non sapevo è che avrei avuto l’opportunità di lavorare in contesti interazionali, stravolgendo totalmente il mio punto di vista su molte cose, e che interagire con persone di culture diverse mi avrebbe messo ogni volta di buon umore, specie se a tavola o davanti a una birra; non sapevo nemmeno che avrei imparato a vivere lontano da casa, sperimentando innumerevoli partenze e ritorni, ed i maledetti sentimenti contrastanti che ne derivano.

Oltre ciò che dice la gente, qualcosa ho imparato a capirla anch’io di me.

Mi piace osservare le persone per capire cosa c’è oltre la superficie. Non mi piacciono le persone banali, preferisco quelle che sembrano tali, ma poi nascondono dietro un mondo. Non mi piacciono gli anticonformisti a tutti i costi. Mi piace chi ascolta prima di parlare.

Mi piace l’ordine e l’armonia, ecco perché la danza è una mia grande passione: mi basta vedere un ballerino fare due pirouette o un grand jetè e sono felice.

Credo nel valore del cibo: tra cucinare e mangiare in compagnia non saprei scegliere cosa mi fa stare meglio. Mi diletto a preparare ricette sempre nuove, adoro alcuni piatti orientali, ma non rinuncerei mai ai sapori della mia terra.

Mi incuriosisce esplorare nuovi luoghi, ognuno con le sue tradizioni, ma fino ad ora niente è mai riuscito ad acquietarmi come il mare di Napoli col Vesuvio sullo sfondo. Per me dire Napoli è dire Massimo Troisi perché “Con lui ho capito tutta la bellezza di Napoli, la gente, il suo destino, e non m'ha mai parlato della pizza, e non m'ha mai suonato il mandolino”.

A proposito di casa e di ciò che mi piace, credo nel potere dell’aggregazione e dell’attivismo giovanile e, fortuna ha voluto che incontrassi persone con visioni a tratti uguali e a tratti opposte, ma che si combinano perfettamente, e trovano modo di esprimersi in quella che è Tutta n’ata storia. Personalmente, mi occupo della rubrica scientifica di questo sito, che mette sempre a dura prova la mia capacità di spiegare concetti complicati in parole semplici. Il titolo della sezione è “Dove andremo a finire?” e la risposta è in ogni articolo in cui si parla di futuro, sostenibilità ambientale, progresso scientifico e tanti altri fatti.

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